Lucio Fontana spiegato con ironia – intervista a Davide Uria “come rendere l’arte contemporanea accessibile a tutti”
In un mondo in cui l’arte contemporanea è spesso vista come inaccessibile, Davide Uria ha deciso di ribaltare il paradigma, spiegando i concetti più complessi con ironia e leggerezza. Il suo libro, “Lucio Fontana spiegato a mia nonna: perché i tagli sono opere d’arte”, non è solo un omaggio all’artista italo-argentino, ma anche una riflessione sul modo in cui percepiamo l’arte moderna. Uria, docente di disegno e storia dell’arte presso l’Università della Terza Età di Trani, ci accompagna in un viaggio che parte dalla semplicità apparente delle opere contemporanee e arriva a svelarne tutta la profondità. In questa intervista esploriamo il suo metodo, la filosofia dietro il libro e il suo approccio unico nel rendere l’arte accessibile a tutti.
Intervista:
D: Davide, cominciamo dal principio. Come è nata l’idea di scrivere “Lucio Fontana spiegato a mia nonna”?
R: L’idea nasce dalla mia esperienza di insegnamento. Lavorando con gli studenti dell’Università della Terza Età, mi sono trovato spesso a dover spiegare concetti di arte contemporanea che, per chi non è del settore, possono sembrare ermetici o addirittura incomprensibili. Allora mi sono chiesto: “Come potrei spiegare Lucio Fontana e i suoi tagli a qualcuno come mia nonna, che ha una mentalità molto pratica?” Da qui è nato il dialogo immaginario che ha ispirato il libro. Volevo abbattere le barriere e dimostrare che chiunque può capire l’arte, se solo gli viene spiegata nel modo giusto. E l’ironia è stata il mio strumento principale.
D: Quindi l’ironia è stata fondamentale per costruire il libro?
R: Sì, l’ironia è stata un elemento centrale. L’arte contemporanea spesso fa paura perché sembra troppo distante dalla realtà di chi la osserva. Quando diciamo “potevo farlo anch’io” davanti a un’opera minimalista, ci dimentichiamo che dietro c’è una riflessione complessa. Ma invece di affrontare questa complessità con un approccio accademico, ho scelto di avvicinarla al pubblico con leggerezza. L’ironia diventa un ponte tra il mondo dell’arte e il lettore comune. Nel libro, gioco con i preconcetti che le persone hanno sull’arte contemporanea, dimostrando che con un sorriso è possibile capire anche ciò che sembra astruso.
D: Parliamo dei tagli di Lucio Fontana. Perché secondo te rappresentano un elemento così discusso e, a volte, frainteso nell’arte?
R: I tagli di Fontana sono provocatori nella loro semplicità. Guardando una tela tagliata, molti si chiedono: “Tutto qui?”. Ma i tagli sono una porta verso una nuova dimensione spaziale. Fontana non stava semplicemente distruggendo la tela; stava sfidando il concetto stesso di pittura. Con quei tagli, ha creato una tridimensionalità che fino a quel momento non esisteva sulla tela bidimensionale. Nel mio libro, cerco di spiegare come il gesto di tagliare non sia distruttivo, ma piuttosto creativo. È un invito a guardare oltre, a immaginare lo spazio che si apre dietro la tela. Ho usato la figura di mia nonna perché, per lei, una tela tagliata avrebbe semplicemente significato “un oggetto da riparare”. E questo mi ha permesso di esplorare il contrasto tra una visione pragmatica e una più concettuale dell’arte.
D: Oltre a Fontana, quali altri artisti e movimenti esplori nel libro?
R: Fontana è il punto di partenza, ma il libro non si ferma lì. Affronto altri artisti e movimenti che hanno contribuito a trasformare il panorama dell’arte contemporanea. Parlo di artisti che hanno sfidato le convenzioni, come Yves Klein con i suoi monocromi o Marcel Duchamp con i ready-made. Mi sono concentrato su opere che, a prima vista, sembrano semplici o addirittura banali, ma che in realtà racchiudono profonde riflessioni sull’arte e la società. L’idea è mostrare al lettore che l’apparente semplicità di queste opere è spesso un’illusione, e che dietro ci sono idee molto complesse. Ho voluto rendere omaggio agli artisti che hanno avuto il coraggio di rompere con il passato e sperimentare nuovi linguaggi.
D: Cosa pensi che il pubblico più ampio, non necessariamente formato da esperti d’arte, possa imparare da questo libro?
R: Credo che il pubblico possa imparare che l’arte contemporanea non è qualcosa di elitario o inaccessibile. È vero, alcune opere possono sembrare difficili da capire, ma con il giusto approccio e una mente aperta, chiunque può apprezzarle. Ho scritto il libro proprio per dimostrare che non bisogna avere una laurea in storia dell’arte per godere di un’opera contemporanea. Spesso è sufficiente fermarsi a riflettere su ciò che si vede, lasciare da parte i pregiudizi e, perché no, divertirsi nel processo di scoperta. Voglio che i lettori si sentano coinvolti e, magari, ispirati a esplorare l’arte da una prospettiva diversa, più personale.
D: Tu insegni all’Università della Terza Età. In che modo questa esperienza ha influenzato il tuo approccio al libro?
R: Insegnare all’Università della Terza Età è stata un’esperienza illuminante. Gli studenti che frequento sono persone adulte, spesso con una vita piena di esperienze, ma che non hanno mai avuto modo di avvicinarsi all’arte contemporanea. È interessante vedere come reagiscono a concetti che, per chi è cresciuto con un’idea più tradizionale dell’arte, sembrano bizzarri o incomprensibili. Questo mi ha insegnato a spiegare le cose in modo semplice, senza perdere di vista la complessità che sta dietro. Ho cercato di tradurre queste lezioni nel libro, adottando un linguaggio accessibile ma mai superficiale.
D: Hai qualche episodio particolare legato alla reazione dei tuoi studenti all’arte contemporanea?
R: Sì, tantissimi! Uno che ricordo sempre con piacere è legato a una lezione su Fontana. Quando ho mostrato la famosa tela tagliata, una delle mie studentesse ha esclamato: “Ma è solo un buco! Anche mio nipote poteva farlo!”. È stato un momento divertente, ma anche un’occasione per spiegare che dietro quel “buco” c’è molto di più. Abbiamo parlato del concetto di spazialità, della rottura delle convenzioni pittoriche e della profondità del gesto artistico. Alla fine della lezione, quella stessa studentessa mi ha detto: “Adesso lo capisco. Non avrei mai pensato che un taglio potesse significare così tanto.” Quel momento mi ha confermato l’importanza di un approccio aperto e didattico.
D: Nel tuo libro c’è molto di più di una semplice spiegazione tecnica delle opere. C’è un messaggio più ampio che desideri trasmettere?
R: Sì, il messaggio che voglio trasmettere è che l’arte è, prima di tutto, un’esperienza. Non dobbiamo limitarci a guardare un’opera e cercare immediatamente di capirla. Spesso, l’arte non è fatta per essere “capita” nel senso tradizionale. È un invito a riflettere, a sentirsi provocati o ispirati. Il libro vuole insegnare al lettore a non avere paura dell’arte contemporanea, a non sentirsi escluso solo perché non ha una preparazione accademica. L’arte può essere vista, vissuta e interpretata in mille modi diversi, e tutti questi modi sono validi. Il mio obiettivo è rendere l’arte meno intimidatoria e più accessibile, ma senza perdere di vista la sua capacità di farci pensare.
D: Cosa speri che i lettori portino con sé dopo aver letto il tuo libro?
R: Spero che i lettori si sentano più sicuri di fronte all’arte contemporanea. Che non abbiano paura di dire “non lo capisco”, ma che trovino piacere nel cercare di capire, nel porsi domande. L’arte è un dialogo aperto, non una risposta definitiva. Se il mio libro riesce a far sorridere qualcuno e allo stesso tempo a stimolare una riflessione, allora avrò raggiunto il mio obiettivo.
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