Inconcussa Pasqua 

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Nel crogiolo del tempo, 

quella sera si frange nella pena,

e l’aurora di quel che era suo lamento

si veste d’abissi e chimere, 

trascende la carne la mistica resa. 

Sui crinali del Golgota sibila il vento, 

aruspice cieco del verbo che geme. 

L’ aceto nel rituale che fende 

compie quel ché era già scritto.

Anamnesi antica nell’eco di lògos, 

resurrezione in filigrana di piaghe. 

La verità, come arca risplende,

annoda i cieli tra cenere e speme. 

Un agnello d’ebano ha bevuto martiri,

crocefisso per amore e pace

nel dissolvere le notti in graffi di luce. 

La pietra si schiuse, era giunta l’ora,

i segni si spezzarono, irrompeva gioia

l’eterno si plasma in forma e carne.  

Nel ventre del mito germoglia

l’essenza,  la vita perfetta e soave,

tra mitrei e cori d’apostasia blanda

avvolte da tenebre per sinistrare.

Ma la misericordia senza fine

si fa crisalide perfetta in ogni cuore,

rinnegando la morte in litania franca. 

Il tempo si arrende come stanca arpa

tra palme appassite al consumato

e presagi di grano d’oro di gaudio.

Il sepolcro è un ventre ormai vuoto,

la croce una banca eterea

di debiti eterni e perdono sovrano!  

Redento è il Santo Verbo,

suonando le ore in cadenze astrali. 

Pasqua, vertigine, nodo dei drammi, 

miracolo scritto tra oscurità e salmi. 

Laura Lapietra ©

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Pubblicato in Poesia
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